Le politiche industriali e la spesa frammentata


La politica industriale ha come obiettivo quello di favorire la competitività delle imprese. A questo obiettivo generale se ne possono associare altri come quello di promuovere l’occupazione in specifici ambiti territoriali o favorire determinati settori. Negli ultimi anni l’attenzione verso le politiche industriali è cresciuta in modo consistente dopo un lungo periodo nel quale, soprattutto nella UE, era prevalso un orientamento che guardava a tali politiche con sospetto in quanto lesive del libero mercato.

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La politica industriale era tollerata solo in presenza di fallimenti del mercato, come quello che determina un basso impegno delle imprese nelle attività di ricerca e sviluppo per la difficoltà ad appropriarsi dei risultati. Di qui la preferenza per politiche ‘orizzontali’, come gli incentivi fiscali o i sussidi all’innovazione, che riguardano tutte le imprese e tutti i settori così da non determinare eccessive distorsioni nelle scelte di investimento. L’atteggiamento di diffidenza verso le politiche industriali è stato travolto dal succedersi di shock macroeconomici e dai recenti rivolgimenti nelle relazioni politiche e commerciali internazionali. Ciò ha determinato un deciso incremento della spesa che dal 2020 ha subito un’impennata in quasi tutti i paesi europei.

Accanto all’incremento della spesa vi è stato anche un ampliamento degli obiettivi. Non solo quelli di rafforzare la competitività delle imprese e la loro capacità di creare occupazione ma anche la riduzione della dipendenza dall’esterno e la resilienza agli shock, oltre agli obiettivi di sostenibilità ambientale e di digitalizzazione. I provvedimenti più recenti in ambito UE mirano in particolare a ridurre la dipendenza dell’industria europea dalle produzioni estere in alcuni settori chiave. Il chips act emanato nel 2023 mira a rafforzare la produzione di semiconduttori nella UE, mentre un provvedimento adottato nel 2024 mira a ridurre la dipendenza dall’estero per le materia prime critiche. Sempre nel 2024 il Consiglio ha adottato il Net-zero industry act che mira a rafforzare la posizione dell’industria manifatturiere europea nelle tecnologie green (come il solare e l’eolico) oltre che ridurre la dipendenza energetica dall’estero.

L’attivismo nelle politiche industriali in sede europea è giustificato dal fatto che molti degli obiettivi di tali politiche andrebbero gestiti a scala europea, sia per la dimensione degli investimenti necessari sia per sfruttare al meglio l’ampiezza del mercato unico.

Di fatto, però, la UE ha scarsi strumenti per intervenire nelle politiche industriali e ancor più scarsi fondi. Le politiche industriali rimangono in gran parte nelle competenze dei singoli Stati che hanno, però, capacità di spesa molto diversa. Come è evidente dal grafico, la Germania ha speso negli ultimi anni molto più di Francia e Italia. Tenuto anche conto che negli ultimi anni l’Italia ha utilizzato a questo scopo parte dei fondi del Pnrr; la Germania ha attinto poco al Next Generation EU e solo per la parte a fondo perduto, mentre l’Italia ha attinto il massimo in termini di sussidi e di debito.

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L’efficacia delle politiche industriali non dipende però solo dall’entità della spesa ma anche dalla qualità della stessa, cioè dagli ambiti in cui viene allocata e dagli effetti che è in grado di produrre. Nel caso italiano uno dei principali problemi è l’eccessiva frammentazione. Negli ultimi anni hanno beneficiato di interventi agevolativi oltre un milione di imprese ogni anno ma con interventi medi di poche decine di migliaia di euro (vedi grafico). In questo modo si dà ossigeno ad un gran numero di imprese ma non si producono risultati significativi di diversificazione e riconversione del sistema produttivo.

La frammentazione della spesa è anche il risultato di un numero eccessivo di misure agevolative. Nella relazione relativa al 2023 il Mimit ha censito 2723 provvedimenti di agevolazione alle imprese, di cui 348 in capo all’amministrazione centrale e 2375 alle amministrazioni regionali. Oltre a ridurre l’efficacia della spesa, la proliferazione di interventi comporta notevoli oneri di gestione amministrativa. Il Parlamento ha approvato nel 2023 una legge delega che impegna il Governo a razionalizzare l’offerta creando un sistema organico degli incentivi. C’è da augurarsi che il risultato venga conseguito poiché con il venir meno del Pnrr nei prossimi anni si ridurrà la capacità di spesa dell’Italia rispetto agli altri paesi e sarà quindi essenziale riuscire ad allocare in modo efficace le risorse a disposizione.

* Docente di Economia Applicata all’Università Politecnica delle Marche





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