L’azienda milanese ha un modello di business per cui per ogni bottiglietta venduta dona 100 litri d’acqua nei Paesi in via di sviluppo. Uno dei fondatori, Michele Fenoglio, racconterà l’impatto di Wami nel mondo il 26 marzo 2025 alle 15 in Sala Buzzati
«Buy one give one», per ogni prodotto acquistato, un altro viene donato. È il modello di business ma anche la filosofia etica con cui fa impresa Wami, azienda milanese nata come startup nel 2016 e pensata per generare un impatto positivo attraverso i profitti. «Water with a mission» è l’idea da cui prende il nome la società, che commercializza l’acqua con uno scopo che va oltre il mero ritorno economico: per ogni bottiglietta venduta dona 100 litri in Paesi con difficile accesso alle risorse idriche sicure e dalla nascita ha realizzato impianti per 10 miliardi di litri.
In Ecuador Wami ha raggiunto 603 abitanti nei villaggi del distretto di Churumanga, a Pelileo, con un sistema di raccolta che servirà 50 famiglie. In Madagascar è stato costruito un acquedotto da 43 milioni di litri che permetterà a 10 nuclei l’accesso diretto all’acqua potabile nell’area est di Ankatsake. In uno dei progetti in Senegal l’azienda ha lavorato per far sì che 16 famiglie possano allacciarsi al rubinetto.
«Consumiamo ogni giorno enormi quantità d’acqua, ma non ci rendiamo conto di quanto scarseggi per la popolazione mondiale – spiega Michele Fenoglio, 36 anni, che ha fondato la startup insieme al coetaneo Giacomo Stefanini –. Abbiamo scelto l’acqua come business perché ci è sembrato il bene più prezioso a cui collegare una missione».
Fenoglio e Stefanini si sono conosciuti mentre studiavano Economia all’Università Bocconi, poi hanno fatto esperienze all’estero e lavorato in grandi multinazionali. «È stato in quegli anni che Giacomo ha analizzato il modello di un’azienda di calzature, oggi molto nota, che per ogni paio di scarpe venduto ne donava uno ai bambini in situazione di disagio in Argentina, tempo dopo abbiamo capito di voler avere lo stesso impatto nel mondo».
Oggi Wami opera soprattutto nel mercato horeca, in locali, bar e ristoranti a cui vende acqua, infusi e tè a un costo di poco superiore a quello di mercato. «Un ristoratore che ci sceglie – spiega Fenoglio –, lo fa perché vuole generare un valore aggiunto e mostrarlo ai consumatori finali, non per il prodotto in sé». L’acqua imbottigliata è quella della fonte Arcobaleno di Ormea, in Piemonte, di proprietà di San Bernardo che l’ha concessa al brand. Sull’etichetta di ogni prodotto è stampato un qr code che chi acquista può inquadrare per seguire l’evoluzione del progetto a cui, in parte, sta contribuendo.
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