Luigi (il suo nome è di fantasia) ogni mattina si reca a lavoro, presso lo stabilimento della Sparco Spa di Cuggiono e si mette alla postazione. Sembrerebbe un normale inizio di giornata di un trentanovenne operaio, se non fosse che Luigi, al mattino, per andare a lavoro, prende il solo e unico mezzo di trasporto che gli è stato indicato e percorre il solo e unico tragitto che gli è stato concesso e alla sera, terminate le sue otto ore lavorative, rientra in carcere, in cui dovrà ancora stare per altri, interminabili anni.
A controllare il suo ingresso a lavoro e il suo ritorno in cella, ogni giorno, c’è la polizia penitenziaria che lo aspetta all’esterno e controlla ogni movimento. Eppure, per Luigi, questa concessione lavorativa significa tutto e, a testa alta, prima di mettersi a lavoro, c’è una frase, che ripete a chi gli chiede come si senta: “ogni individuo merita il riscatto”.
È proprio da qui, dalla pena volta al riscatto e alla rieducazione, che occorrerebbe partire quando si affronta il tema dell’inclusione carceraria dando per certo che il lavoro è il primo elemento per il riscatto umano e sociale. Purtroppo oggi, in Italia, i dati dell’inclusione carceraria sono sconfortanti. Chi per pregiudizio, chi per burocrazia, chi per paura del fallimento del progetto… sono tanti gli imprenditori che abdicano all’iniziativa dell’inserimento di detenuti o che pensano che il problema del sovraffollamento carcerario o della recidiva non li riguardi perché un problema “dello Stato”.
Eppure è proprio l’impresa l’unica realtà che, con consapevolezza, può permettere la realizzazione di percorsi di reintegrazione sociale perché il detenuto ha bisogno di svegliarsi ogni mattina e andare a lavorare perché l’unico modo per allontanarsi dal crimine è focalizzarsi su altri aspetti della vita. Per far sì che questo accada, il detenuto, nella sua debolezza (perché i più sono ahimè soggetti molto deboli e vulnerabili) va accompagnato gradualmente nel suo inserimento a lavoro, proprio come si fa con un bambino che dalle mura domestiche passa a quelle di una scuola, allo stesso modo dalle “alte mura” carcerarie si passa all’azienda e a ritrovare, pian pianino, un contatto con il mondo esterno.
Solo un impiego stabile da parte delle aziende che offrono lavoro a chi “ha bisogno di riscatto” è capace di restituire autostima a chi ha commesso un crimine e solo il lavoro è capace di allontanare il reo da quel pensiero che l’ha condotto al crimine, un pensiero che, senza alternativa, potrebbe condurlo alla recidiva.
È pertanto un triplo “win-win-win” quello che unisce Stato-Imprese-Detenuti, in un dialogo costante, in un rapporto sinallagmatico in cui le imprese non devono essere un antibiotico da somministrare ex post, all’uscita dal carcere, ma coinvolte sin dall’inizio nei progetti, sin dal momento della reclusione, potendo così intervenire per portare speranza ed umanità all’interno delle carceri e portando il lavoro come alternativa al reato.
Una buona riuscita dell’inserimento all’interno delle aziende significa, per le persone detenute, dare un buon supporto alle famiglie all’esterno, trasformandosi dall’essere un “peso” a una risorsa, senza togliere l’accrescimento dell’autostima e della dignità personale che favorisce un rientro positivo nella società, realizzando la funzione rieducativa della pena.
È una vittoria, senza dubbio alcuno, anche per lo Stato perché valorizza il capitale umano, riduce i divari, i bisogni e diminuisce il rischio di una recidiva offrendo maggiore sicurezza sociale, come ha recentemente ricordato il Capo dello Stato. Ma soprattutto è una vittoria per le aziende che offrono questa possibilità perché non occorre dimenticare che la Responsabilità Sociale è in capo a ogni impresa che la deve espletare, in virtù del dettato costituzionale. Non da ultimo la possibilità di accedere ad incentivi fiscali e risparmio sui costi di produzione, acquisto, formazione.
Per chiarezza: le imprese che assumono detenuti o internati all’interno degli istituti penitenziari o lavoranti all’esterno ai sensi dell’art. 21 ord.penit., possono ottenere un credito d’imposta per ogni lavoratore assunto, nei limiti del costo per esso sostenuto, di 520 euro mensili; le imprese che assumono semiliberi possono ottenere un credito d’imposta per ogni lavoratore assunto, nei limiti del costo per esso sostenuto, di 300 euro mensili. Per i lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo parziale, il credito d’imposta spetta, in ogni caso, in misura proporzionale alle ore prestate. Il credito d’imposta spetta inoltre, se il rapporto di lavoro è iniziato mentre il soggetto era ristretto, per i diciotto mesi successivi alla cessazione dello stato detentivo per i detenuti ed internati che hanno beneficiato della semilibertà o del lavoro esterno e per i ventiquattro successivi alla cessazione dello stato detentivo nel caso di detenuti ed internati che non hanno beneficiato della semilibertà o del lavoro all’esterno.
Senza contare che Luigi, quel detenuto che ogni giorno alle 7.55 entra puntualmente in stabilimento, a testa alta, oggi è uno dei più bravi e seri tra i suoi colleghi e, quando tornerà in libertà, saprà già fare un lavoro e potrà nuovamente investire sul suo futuro da uomo libero.
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